San Macario
Il Santo Patrono di Oliveto Citra
Chi è San Macario
Il nome Macario (dal greco makarios = beato o felice) era senza dubbio un nome comunemente usato tra i cristiani del vicino Oriente. Conosciamo pure eminenti figure della cristianità dei primi secoli, specie in ambiente di cultura bizantina, chiamate Macario. Ne citiamo alcuni: Macario, vescovo di Gerusalemme (314-335), che troviamo accanto a Sant’Elena, madre di Costantino, nell’opera di costruzione delle prime basiliche e nell’opera di ritrovamento della croce; Macario alessandrino (secolo IV) eremita, maestro di vita spirituale, a cui si attribuisce il Perì exsodous, pia riflessione biblica in cui l’esperienza eremitica nel deserto diventa il simbolo della vita cristiana che dalla schiavitù della vita materiale tende alla Terra Promessa dell’eterna Beatitudine; Macario il Grande o Vecchio, anch’egli alessandrino e spesso confuso con il precedente, discepolo di Sant’Antonio Abate e poi guida diretta di altri discepoli. Da notare che il deserto della Giudea e quello della Tebaide in Egitto, furono gli ambiti preferiti delle prime esperienze monastiche cristiane.
Il nostro San Macario, ovviamente, anche per il nome si inserisce nel solco della tradizione monastica orientale perché la Sicilia e quasi l’intero territorio dell’Italia meridionale rimasero possedimenti dell’Impero d’oriente fino alla conquista normanna.
A quale famiglia appartenne
San Macario appartenne a una famiglia per noi singolare in quanto tutti i componenti di questa (moglie e marito più i due figli) sono venerati come santi: Cristoforo e Kalì, Saba e Macario.
Prima a lasciare casa e beni materiali, d’accordo con la moglie, fu Cristoforo, seguito, non molto tempo dopo, dai figli Saba e Macario. Essi abbracciarono la vita religiosa secondo le direttive e lo spirito ascetico di S. Niceforo.
Anche Kalì si ritirò in vita ascetica per formare una piccola comunità femminile.
Dove nacque
Tradizionalmente, e avvalorato da studi recenti, si ritiene che San Macario sia nato a Collesano, attualmente in provincia di Palermo, e da questa città distante 72 Km. Il paese si estende lungo il versante settentrionale delle Madonie a circa 470 m.s.m. e precisamente si allunga sul crinale di un dosso lambito dal torrente Roccella. È citato nel secolo XII dallo storico e geografo arabo Edrisi. Il paese si è formato lentamente intorno ad un castello di origine araba la cui esistenza è documentata solo in età normanna.
San Macario è vissuto durante la dominazione araba della Sicilia, iniziata nel 827, quando Eufemio da Messina chiamò gli arabi, e terminata nel 1061 con la conquista di Roberto il Guiscardo.
Nell’opuscolo intitolato “Cenni biografici del protettore di Oliveto Citra San Macario Abate e novena” l’autore, Don Francesco Ciccone, nativo di Teora ed Arciprete curato di Santa Maria della Misericordia in Oliveto Citra, pubblicato nel 1907, si afferma che San Macario sia vissuto tra VIII e IX secolo e cioè agli inizi della dominazione araba in Sicilia. Questa cronologia non può essere accettata per il semplice fatto che, come diremo più avanti, San Saba si recò a Roma dopo la morte del padre Cristoforo (941) ove morì nel monastero di San Cesario del Palatino il 6 febbraio 995.
San Macario si spegnerà nel 1005, dopo aver assunto la guida spirituale del movimento da essi iniziato.
Contesto geografico e storico
È noto a tutti che il monachesimo, sia quello orientale-bizantino che occidentale-benedettino, abbia inciso profondamente nei comportamenti religiosi e nei modi di vita delle popolazioni mediterranee ed europee. Esso costituì il più importante alimento di vita spirituale ispirando la cultura, l’arte e l’organizzazione sociale, in momenti di grande smarrimento e imbarbarimento. In oriente già dai primi secoli del cristianesimo, specie dopo la fine delle persecuzioni da parte dell’impero romano e dopo l’editto di Milano di Costantino (313) fiorirono le esperienze religiose con la scelta radicale di abbandono della vita ordinaria dedicandosi alla preghiera, a volontarie penitenze e privazioni in luoghi appartati e desertici. Comunemente questo orientamento si spiega perché non vi sono più i martiri, quelle persone cioè che preferiscono subire la morte violenta anziché tradire la fede cristiana. Mancando questa tensione interiore, molte persone di acuta sensibilità religiosa, anche sull’esempio di alcuni profeti e dello stesso Giovanni Battista, si ritiravano a trascorrere il resto della loro vita negli eremi o nei cenobi.
Come si è detto più avanti, il monachesimo in genere, anche quello più ascetico, ha influenzato la vita delle nostre popolazioni con lo schema della vita comune e della regola che assicurava il minimo di organizzazione sociale.
Tornando ai nostri santi sappiamo che, dopo Collesano, furono per qualche tempo a San Filippo d’Argira ove costruirono anche una Chiesa dedicata a San Michele Arcangelo. Facendosi più pesante il controllo della vita religiosa da parte degli arabi e forse anche per una sopraggiunta epidemia, il gruppo dei tre (Cristoforo, Saba e Macario) nel 941 si allontanarono dalla Sicilia e si portarono nel Mercurion, la zona intermedia tra Calabria e Basilicata. A Laino Castello prima, e nella fortezza di San Lorenzo sul Sinni dopo, trovarono rifugio. Qui si spense Cristoforo il 17 dicembre dell’anno 990, assistito ovviamente dai figli e dalla moglie. È opportuno precisare che le notizie biografiche riguardanti San Macario sono parallele a quelle di San Saba e riferite dal primo biografo di questi Salvatore Oreste.
Come mai Oliveto Citra conserva con amore e pietà la memoria della sua vita e le sue insigni Reliquie
Mancano documenti diretti che parlano della permanenza santamente vissuta e della pia morte di San Macario nel territorio del Comune di Oliveto Citra.
È legittimo accettare la ininterrotta tradizione secondo cui Oliveto fu scelto come luogo ideale per un rapporto intenso e diretto con Dio, da parte di San Macario, e poi come custode dei suoi resti mortali. Questa tradizione, mai contraddetta, è avvalorata anche dai siti religiosi che hanno ospitato queste sue insigni Reliquie e dai documenti che trattano sia dell’accoglienza trionfale di dette Reliquie (1517) nella Chiesa annessa al convento francescano Santa Maria del Paradiso, sia che trattano della ricognizione delle stesse Reliquie negli anni 1632 e 1845.
Probabilmente tale mancanza è spiegata dallo smarrimento di tanti documenti per il trasporto frettoloso dei testi della biblioteca del nostro convento ad altri conventi della provincia francescana di Salerno, in seguito alle soppressioni di detto convento sia nel 1811 (soppressione napoleonica),sia nel 1866 (Legge eversiva dell’Asse Eclesiastico).
Padre Teofilo M. Giordano nel 1990 ha scritto un prezioso libro: I francescani nella storia di Oliveto Citra – ed. Cecom – Bracigliano (SA). Il VI capitolo di questo testo è dedicato appunto alle Reliquie di San Macario e le fonti a cui il Giordano attinge sono la Cartella di Oliveto – Documento 7 della biblioteca provinciale francescana di Salerno. Trattasi di pagine e frammenti di Cronaca, Atti notarili, Inventari, Registro di Messe, ecc…ecc….
Dalla relazione di un certo Padre Buonaventura da Mercogliano si viene a conoscenza che fu il guardiano dell’epoca, Padre Bernardino Maurella da Oliveto, a chiedere ed ad ottenere l’autorizzazione da parte del Papa Leone X del trasferimento delle Reliquie di San Macario dalla Chiesa di San Pietro a quella di Santa Maria del Paradiso, come già detto.
A proposito della Chiesa di San Pietro, il testo latino parla di Chiesa quasi diruta de cursu temporis , cioè quasi distrutta per il trascorrere degli anni, dove erano conservate le Reliquie di San Macario irreligiose et irriverenter, cioè senza alcuna devozione e cura. Quindi è nel 1517, probabilmente il 24 maggio, che avviene la traslazione del corpo di San Macario con grande concorso di popolo anche dei paesi circostanti con la partecipazione delle autorità e del clero locale e ovviamente di tutta la comunità del convento.
A proposito della Chiesa di San Pietro, sempre lo stesso documento latino, la pone intra Oliveti oppidum cioè entro la cinta muraria del paese. Però la Cronista Conzana scritta nel 1690 da Donatantonio Castellano, nativo di Bagnoli Irpino (cap. X pag. 122), nell’elenco delle Chiese di Oliveto nomina una Chiesa dedicato a San Pietro de Pestiniano e un’altra dedicata a San Pietro Venatore “entro cui vi è la cella di San Macario”. Stando alla testimonianza del Castellano siamo autorizzati a non tradurre letteralmente l’ espressione latina del suddetto documento intra Oliveti oppidum come se la Chiesa di San Pietro non fosse una chiesetta rurale, ma urbana. L’aggettivo Venatore può far pensare ad un luogo di caccia e non a caso parte dell’attuale località San Macario è chiamata anche Passeri.
Una volta ospitate le Reliquie di San Macario nell’imponente Chiesa Santa Maria del Paradiso, nel corso degli anni, si provvide anche a costruire un ampio cappellone con un altare sormontato da colonne e timpano, non marmorei, di stile barocco.
A proposito delle ricognizioni delle Reliquie di San Macario, il 10 gennaio 1845, il sindaco dell’epoca, Nicola Cappetta, chiese all’Arcivescovo di Conza, Monsignore Leone Ciampa, di autorizzare l’Arciprete o un altro sacerdote ad eseguire la ricognizione del corpo di San Macario. Il 18 gennaio dello stesso anno, l’Arcivescovo, autorizzava l’Arciprete, unitamente a due altri sacerdoti scelti a suo piacimento, a “rivisitare le ossa del glorioso San Macario”. Finalmente il 25 gennaio l’Arciprete Giuseppe Nicastro, assistito da Don Giovanni Pietro Greco e Don Gaetano Cappetta, eseguirono la tanto richiesta ricognizione delle Reliquie. Il documento citato scende nei particolari di questa delicata operazione affermando che vennero ritrovate due cassette, una di legno, consumata dal tempo, con un osso dell’avambraccio, la testa, e l’omero e un’altra cassetta di ottone ermeticamente chiusa all’interno della quale vi era una veste di guanciale contenente parte della tibia e altri resti non meglio identificati. Però fu trovato un documento che verbalizzava la precedente ricognizione avvenuta il 24 luglio 1652 alla presenza del guardiano dell’epoca, Padre Francesco di Torella.
Il 2 marzo 1852 al guardiano Padre Francesco d’Andretta, fu dato incarico di riporre le Reliquie riconosciute nel 1845 nella nuova statua argentea a mezzo busto. Così indirettamente conosciamo anche la data in cui fu realizzata la statua del nostro patrono, attualmente oggetto di venerazione e di culto.
San Macario abitualmente viene insignito del titolo di Abate, inteso come capo di una comunità e maestro di vita spirituale perché trattasi di monaco di epoca bizantina. Invece l’abate di un’abbazia benedettina poteva e può essere consacrato vescovo in quanto ad una abbazia poteva essere affidata la cura pastorale di alcune parrocchie e perché l’abate aveva la necessità di consacrare sacerdoti alcuni monaci. Poiché le succitate chiese, custodi delle Reliquie del nostro Santo, sono di rito latino, è prevalso la rappresentazione iconografica del Santo Patrono con le insegne tipiche di un Vescovo o Abate di rito latino.
Non è superfluo sottolineare come la devozione a San Macario si sia radicata e manifestata perché le nostre popolazioni lo hanno invocato per la guarigione di diverse malattie, per la liberazione degli ossessi, e per avere il tempo propizio per la semina e per la raccolta dei diversi frutti della terra.
L’attualità del messaggio che scaturisce dalla vita di San Macario
Può interessare, anche all’interno del nostro contesto ecclesiale, un Santo vissuto 1000 anni or sono, che si apparta dal mondo, vive dei frutti spontanei della terra, che abita in un tugurio senza nessuna protezione dal freddo e dal caldo?
Noi viviamo in un contesto dominato dalla cultura del fare, del competere del possesso sempre in crescita. La lezione che ci viene da San Macario non è quella di imitare esteriormente i suoi modi di vita quanto il richiamo alla dimensione contemplativa della vita. C’è bisogno della ricerca di senso, di legare i successi del progresso dovuti alla scienza e alla tecnica ai valori spirituali e morali. Gli eremiti, poi i monaci, non sono fuggiti dal mondo per non accettare le responsabilità e l’impegno. Essi ci ammoniscono che l’attività febbrile, la vita frenetica deve essere un esercizio della carità nel senso più profondo e bello del termine, non vi è solidarietà, servizio e amore autentico al prossimo se non vi è amore a Dio. Sicché San Macario con la sua scelta radicale di Dio, ci richiama il valore della preghiera, il valore del silenzio come mezzo di ritrovare se stessi come persone capaci di Dio, aperte a Dio, felici in Dio.
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